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mercoledì, 22 Ottobre 2025

“Capire il confine”, Giustina Selvelli racconta la frontiera di Gorizia e Nova Gorica

10.04.2024 – 08.30 – Capire il confine di Giustina Selvelli: un’indagine sulla frontiera, su un confine, su un margine sempre in movimento, contraddittorio, instabile, vivo. In Capire il confine. Gorizia e Nova Gorica: lo sguardo di un’antropologa indaga la frontiera, edito da Bottega Errante e disponibile dal 17 aprile, l’antropologa Giustina Selvelli sovrappone la sua biografia personale, intima e soggettiva, alla storia della frontiera, delle genti che la abitano, delle politiche che la fanno sparire e poi riemergere a seconda dei casi.
Uno sguardo su Gorizia e Nova Gorica che tocca diversi periodi: dalla cortina di ferro all’eliminazione delle dogane, dalla rete divisoria durante la pandemia di Covid-19 alla sospensiоne dei trattati di Schengen sulla libera circolazione di persone e merci, dalla rotta balcanica alla vittoria della Capitale europea della cultura 2025.
Un resoconto appassionante e documentato che getta luce su aspetti socioantropologici emblematici per comprendere che cosa significa abitare una terra di frontiera.
Capire il confine vuole essere uno strumento dedicato a studiosi, curiosi, turisti e appassionati della frontiera orientale, e di tutte le frontiere in generale, corredato da capitoli di approfondimento, mappe, cronologie, per consentire di navigare dentro la complessità delle terre del Goriziano italiano e sloveno nella loro affascinante attualità.

Capire il confine ha una componente antropologica molto forte come ci spiega Giustina Selvelli, “l’antropologia ci sprona a riflettere in maniera complessa sulle nostre società e culture di riferimento attraverso l’adozione di uno sguardo esterno, facendoci uscire da una sorta di ‘comfort zone’ a cui troppo spesso veniamo assuefatti. Applicata alla problematica del confine, l’antropologia riesce a mettere in risalto la coesistenza di esperienze e percezioni plurime di uno spazio dinamico e non univoco, nonché ad includere la stessa soggettività (sotto forma pure di emozioni) dell’osservatore in un’analisi dinamica e profonda, che scardina i tabù stratificati nelle costruzioni identitarie e nelle pratiche memoriali”.

Un altro elemento che rende il titolo originale è che nella narrazione si sovrappongono spesso la biografia dell’autrice con quella del confine. Una scelta particolare che per l’autrice Giustina Selvelli si è “manifestata in maniera spontanea e inarrestabile man mano che procedevo con la scrittura. Mi risultava impossibile separare meccanicamente le vicende storiche descritte dal mio vissuto personale di quegli stessi avvenimenti, mi sembrava una forzatura che avrebbe impoverito il testo, privandolo proprio della componente empatica più rilevante. Quelle dense storie di confine – realizzavo mentre scrivevo – avevano incarnato proprio i nuclei originari da cui era scaturita la mia fascinazione per le identità molteplici ed ibride, e nel tentare di analizzarle e nello sforzarmi di ricordarne i dettagli nel mio vissuto personale scoprivo in maniera emozionale quanto quei luoghi, con cui in passato avevo intrattenuto un rapporto non sempre facile, avessero determinato le ramificazioni successivi dei miei percorsi di esplorazione altrove”.

Un confine, quello che attraversa Gorizia e Nova Gorica, che è caduto, ma che in tempi recenti è stato rimesso molto velocemente in funzione. Giustina Selvelli nota che per quanto possiamo desiderare di affermare il contrario, “il confine non è davvero caduto, infatti i recenti avvenimenti dimostrano che la politica può nuovamente imporlo a farcene subire le conseguenze, come nel caso della recente ‘risuscitazione’ del regime di Schengen fra Italia e Slovenia, un fatto che provoca conseguenze pratiche per i cittadini che si spostano fra i due paesi per lavoro ad esempio, a cui accenno nel libro. Inoltre, ritengo che potremo considerare il confine realmente caduto solo nel momento in cui prenderà forma una dinamica di avvicinamento reciproco vigorosa e spontanea in termini culturali, linguistici nonché ovviamente sociali, attraverso l’abbattimento della categoria anacronistica di “identità nazionale” e tutto ciò che essa comporta in termini di retoriche e discorsi centralizzanti che nulla hanno a che fare con la vita della frontiera aperta a cui auspichiamo. Ciò in cui dobbiamo impegnarci è la creazione di un nuovo immaginario, di una condivisione dei territori “regionale”, sovranazionale ed in tale senso europea, ma in termini concreti e radicati sul territorio, e non astratti. C’è ancora molto lavoro da fare“.  

Uno degli aspetti che colpisce nei diversi capitoli che compongono Capire il confine è il risalto dato alle buone pratiche. Lo sguardo di Giustina Selvelli è anche uno sguardo positivo, che mette in rilevanza il valore delle relazioni e delle sinergie che si sono create intorno al confine.
Spesso dici che il confine è come un laboratorio. Può spiegare meglio questi aspetti?
“Solo l’adozione di uno sguardo ‘ecologico’ in termini di necessario recupero di un’intelligenza relazionale che ci consenta di intrattenere rapporti vitali con il nostro ambiente circostante, umano e naturale, può mettere in modo il potenziale trasformativo della frontiera, dando vita ad un cosiddetto ‘terzo spazio’ al di là dei due stati nazionali, in cui immaginare forme molteplici di appartenenze, non basate sul criterio esclusivo dell’identità, concetto abusato e fuori luogo in questi luoghi. Per questo motivo, il confine è un laboratorio in cui testare forme di utopie al di là dello stato nazione, la creazione di nuovi centri non basati sui criteri omogeneizzanti (specialmente linguisticamente) delle capitali, ma la fioritura di margini in una certa misura ‘trasgressivi’ che riflettono i valori della migliore Europa”.

La narrazione del confine è sempre fatta dal nostro punto di vista, ma non sappiamo veramente com’è vissuto il confine da chi sta dall’altra parte. Giustina Selvelli ci racconta che, in realtà, “esistono spazi di espressione in cui si racconta anche il confine visto dall’altra parte, penso ad esempio ad una pubblicazione fondamentale del nostro territorio come il quotidiano Primorski Dnevnik, che quasi nessun italiano però riesce a leggere a causa della mancanza conoscenza della lingua slovena (questione a cui dedico un capitolo del mio libro). I nostri vicini sloveni sono più multilingui e internazionali di noi per molti versi, e i motivi sono numerosi, tra cui la presenza storica di cittadini provenienti da altre repubbliche (ex) jugoslave, una maggiore mobilità internazionale e curiosità verso le lingue straniere: non solo l’italiano, padroneggiato praticamente da tutti, ma anche inglese, tedesco. Questo anche grazie alla tv e al cinema, che non doppiano i film stranieri come da noi ma li lasciano in lingua originale con sottotitoli. In generale, mi sembra che dall’altro lato del confine si guardi con maggiore interesse alle opportunità future e molto meno alle ferite del passato, in uno spirito di rinnovamento tipico di un paese giovane (non dimentichiamo che ha ottenuto l’indipendenza nel 1991). Inoltre, il valore di Gorizia come città fondamentale per la storia e cultura della comunità slovena viene vissuto in maniera spontanea e non condizionata o ideologica: esso è un fatto naturale, e per questo molti sloveni stanno da anni comprando casa in questa città. Insomma, c’è uno sguardo più giovane e fresco, non fossilizzato in dinamiche ‘pesanti’ rispetto alla storia passata“.

Gorizia e Nova Gorica sono state scelte come Capitale europea della cultura 2025. Per Giustina Selvelli è “un’occasione grandissima, che molti di noi hanno atteso e sognato per anni. Il titolo congiunto fra due città, o una città transfrontaliera, come vorremmo definire Nova Gorica e Gorizia, è un precedente unico a e la cosa interessante è pure che un’altra città di confine sarà Capitale europea della cultura 2025, Chemnitz in Germania, molto vicina al confine ceco. Sono sicura che vedere le nostre due città divise durante il Covid abbia giocato molto a loro favore, nella scelta della commissione valutatrice. La mia speranza è che l’entusiasmo del momento non rimanga limitato a poche azioni ad alta visibilità e ad una mera retorica, ma che sia davvero l’inizio di una fase di rinnovamento nell’immaginario di questa frontiera, che coinvolga soprattutto i giovani con le loro esigenze urgenti, tra cui la necessità di spazi di espressione artistica e contatto, le sfide dell’interculturalità, della migrazione e la sostenibilità ambientale”.

[a.a.] Capire il confine Giustina Selvelli Capire il confine Giustina Selvelli

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