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sabato, 6 Settembre 2025

Dall’Artico all’IMEC, la sfida globale tra Stati Uniti, Russia e Cina

21.03.2025 – 13:50 – Una telefonata che vale più di mille dichiarazioni. I presidenti rispettivamente degli Stati Uniti d’America Donald Trump e della Russia, Vladimir Putin si sono sentiti direttamente, discutendo presumibilmente non solo della guerra in Ucraina, ma anche di questioni più ampie: la ridefinizione delle sfere di influenza globali, il futuro delle rotte strategiche e il ruolo dell’Europa in questo nuovo assetto mondiale. Le loro parole, per chi sa leggerle tra le righe, lasciano intuire una convergenza su alcuni dossier chiave. E mentre gli Stati Uniti muovono i primi passi verso un accordo con la Russia, in Europa il dibattito è aperto tra chi teme un cambio di rotta e chi vede opportunitàda cogliere. Secondo Alessandro Minon, gli eventi di queste settimane sono la prova che il mondo sta cambiando direzione. “Trump sta cercando di chiudere il conflitto, ora divenuto un impedimento con un approccio pragmatico,ma ci sono apicali politici europei che temono il nuovo possibile assetto geopolitico e presumibili cambiamenti di leadership” osserva il presidente di Trieste Laboratorio (un think tank indipendente, con sede a Trieste, che si occupa di analisi geopolitiche, economiche, strategiche e sul ruolo di Trieste e del Friuli Venezia Giulia nel contesto internazionale, promuovendo il dibattito e la ricerca su temi di rilevanza strategica, con un orientamento politico di centrodestra).

Il primo tassello di questa nuova geopolitica è sicuramente l’Ucraina. Trump e Putin hanno parlato di un cessate il fuoco, con l’idea di trasformarlo in un accordo stabile. I primi passi sarebbero la sospensione degli attacchi alle infrastrutture energetiche e la sicurezza marittima nel Mar Nero, per poi passare a negoziati più ampi. “Si percepisce molto scetticismo, forse comprensibile, ma anche una certa resistenza da parte di alcuni Stati europei”, afferma Minon.

Il punto è che gli Stati Uniti non si stanno muovendo solo per fini umanitari. La stabilizzazione dell’Ucraina si inserisce in una strategia più ampia che riguarda la sicurezza energetica, il commercio globale e l’equilibrio tra le superpotenze.

Se però l’attenzione pubblica è rivolta all’Ucraina, più a nord si sta giocando una partita forse ancora più grande. L’Artico, un tempo considerato una regione marginale, sta diventando un asse strategico fondamentale. Con il progressivo scioglimento dei ghiacci, le rotte polari offrono un’alternativa più veloce e sicura al Canale di Suez, oltre a custodire enormi risorse minerarie e a ospitare cavi sottomarini cruciali per le telecomunicazioni globali. Gli Stati Uniti lo sanno bene. Trump considera l’Artico un’area da difendere e da controllare, tanto che in passato aveva persino proposto l’acquisto della Groenlandia. Anche la Russia ha da tempo rafforzato la sua presenza nella regione, costruendo infrastrutture militari e commerciali lungo la Rotta del Nord.

Il vero nodo però è un altro: la Cina. “Gli Stati Uniti vogliono che l’Artico resti una partita a due: loro e la Russia. L’ingresso della Cina viene visto come un problema”, spiega Minon. E poi c’è l’India, che sta progressivamentecercando di inserirsi nel dossier artico, attirando su di sé l’attenzione di Washington. Se le tensioni tra Stati Uniti e Cina dovessero salire, Nuova Delhi potrebbe trovarsi costretta a schierarsi più apertamente. Ma in tutto questo, l’Europasembra rimanere in un angolo, senza una strategia chiara. Se l’Artico rappresenta il futuro, il presente si gioca su un’altra rotta: IMEC (India-Middle East-Europe economic Corridor), il nuovo corridoio commerciale che sfida la Via della Seta cinese, un progetto che ha lo scopo di creare un asse India-Medio Oriente-Europa, per ridurre la dipendenza dalle infrastrutture controllate da Pechino e mettere in sicurezza i traffici globali, attraverso la creazionedi un corridoio multimodale con ferrovie, porti e infrastrutture digitali, per ridurre i tempi di trasporto e diversificare le catene di approvvigionamento.

L’IMEC rappresenta quindi un’alternativa alla Via della Seta cinese e può riequilibrare le dinamiche globali, con l’Italia in un ruolo chiave.” Ed è qui che entra in gioco Trieste. Secondo Minon, il porto del Friuli Venezia Giulia  è il terminale perfetto per IMEC, più strategico rispetto a Marsiglia, che è più lontana dai mercati chiave dell’Europa centrale. “Trieste è probabilmente il miglior candidato: ha un accesso diretto ai mercati tedeschi, austriaci e dell’Europa dell’Est ed è più allineata con gli Stati Uniti, che vedono nell’Italia un partner chiave grazie alla convergenza con il governo Meloni”.

Ma c’è un punto fondamentale che non deve venire meno: Trieste non deve accontentarsi di essere solo un porto di transito. “Il traffico merci non basta. La pura attività portuale, con la sempre crescente automazione, non trasferisceuna ricchezza significativa alla città. Ma ecco che grazie alla specialità del Punto Franco di Trieste il Porto può diventare centro di trasformazione e la città divenire un hub geopolitico, diplomatico e commerciale verso i paesi coinvolti dal Progetto IMEC oltre che verso l’Ungheria, la Serbia e i Balcani”, afferma Minon.

Negli ultimi mesi, gli attacchi alle navi nel Mar Rosso hanno dimostrato quanto sia fragile questa rotta, costringendomolte compagnie a deviare i traffici e facendo impennare i costi del trasporto marittimo. Minon è chiaro: “Gli Stati Uniti hanno tutto l’interesse a garantire la libertà di navigazione. E per stabilizzare la regione, un’intesa con la Russia,che è vicina all’Iran, potrebbe essere necessaria”. A questo punto la domanda che sorge spontanea è sulla strategia dell’Italia: “Il nostro paese deve rafforzare i legami con Stati Uniti e India, sfruttando la sua posizione per diventare il ponte tra i Balcani, il Mediterraneo e l’Europa centrale. Se ci agganciamo agli Stati Uniti, all’India e ai Balcani, possiamo salvarci. Se restiamo fermi, rischiamo di essere tagliati fuori dai giochi.” Secondo Minon, l’Italia si trova in una posizione privilegiata per capitalizzare sulle nuove dinamiche geopolitiche. “La recente intesa economica con gli Emirati Arabi Uniti, del valore di 40 miliardi di dollari, ottenuta dal governo Meloni ad Abu Dhabi, rappresenta un tassello fondamentale in questa strategia – sottolinea – ora l’Italia si posiziona per rafforzare ulteriormente i legamicon Stati Uniti e India, com’è ben noto dalla crescente collaborazione con Fincantieri, sfruttando la sua posizione per diventare il ponte tra i Balcani e l’Europa centrale verso il Mediterraneo e l’India.”

Una visione strategica quindi che vede l’Italia come un hub cruciale per il commercio e la cooperazione tra Europa, Medio Oriente e Asia conclude il presidente di Trieste Laboratorio. Nel frattempo, gli americani si stanno già muovendo. A Trieste ha riaperto il Consolato USA, un segnale chiaro che il capoluogo del Friuli Venezia Giulia è tornato sotto i radar di Washington. La telefonata tra Trump e Putin non è stata solo un gesto diplomatico.

È il segnale che il mondo sta entrando in una nuova fase, in cui gli equilibri della Guerra Fredda lasciano il posto a nuove alleanze. L’Artico si prepara a diventare una rotta strategica di primaria importanza, mentre IMEC potrebbe ridisegnare il commercio tra Asia ed Europa. E in tutto questo, Trieste ha l’opportunità di giocare un ruolo decisivo.Ma servono visione, investimenti e una strategia chiara.

[c.v.]

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