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sabato, 6 Settembre 2025

Il precariato tra i banchi di scuola: il problema degli stipendi degli insegnanti italiani

17.07.2025 – 11:12 – Gli insegnanti, una categoria negli ultimi anni sempre più fragile: precariato, lavoro fuori sede, vulnerabilità economica. Stiamo parlando di figure professionali fondamentali nella formazione delle giovani generazioni: da una buona scuola dovrebbero uscire buoni cittadini e soprattutto buone persone. Tra i pilastri della nostra società ci sono il diritto allo studio e quello al lavoro, e le scuole sono spazi che devono essere tutelati, considerando l’impatto civico, etico e morale di questa istituzione. Al giorno d’oggi l’insegnamento ha perso attrattività: nonostante la richiesta sia continua e la formazione sia alta (si pensi alla specificità dei corsi e alla difficoltà dell’abilitazione), in Italia la busta paga è tra le più basse d’Europa. Il maestro di scuola elementare, i professori delle medie e delle superiori sono quindi esposti a un impoverimento silenzio ma strutturale, che diminuisce la qualità dell’istruzione e della cultura collettiva.

Un tracollo del valore reale e netto degli stipendi non è una novità, e sicuramente non è un problema solo degli insegnanti: come conferma il rapporto OCSE (organizzazione internazionale di studi economici per i paesi membri), dall’inizio del 2025 i salari reali italiani sono ancora in picchiata (-7,5 per cento rispetto al 2021). Gli stipendi, trascinati dall’onda dell’inflazione post pandemia, hanno generato una perdita netta del potere d’acquisto del 20 per cento circa. Tradotto in termini reali, 1.000 euro nel 2020 ora valgono poco più di 830 euro. Secondo i dati raccolti dal progetto Eurydice, in Italia i docenti hanno una retribuzione netta mensile di circa 1.400 euro (docente di scuola secondaria con 10 anni di anzianità), dove il potere d’acquisto reale è di 1.100 euro. Se non ci sembra essere una cifra ‘al limite’ è perché dobbiamo ancora prendere in considerazione il costo della vita. Di fronte alle spese che nella quotidianità affrontiamo tutti (spesa, trasporti, assicurazione…), a questa professione si aggiunge il problema di ‘essere fuori sede’. Quando a un professore viene assegnata una cattedra, questa potrebbe trovarsi lontano da casa sua, quindi si deve prendere a carico il trasferimento e un contratto di affitto, settore quello immobiliare che, come sappiamo, tracolla sotto il peso degli aumenti a metro quadro.

Il quadro è scoraggiante se lo si confronta con quello del resto dei Paesi Europei. per fare degli esempi, gli stipendi più alti si trovano in Germania con circa 4.280 euro lordi al mese, poi in Francia con circa 2.500 euro lordi mensili. Questo divario ha portato negli anni una fuga dalla professione e una crisi strutturale dell’assunzione, con più di 250.000 posti vacanti coperti ogni anno da supplenze brevi o annuali, secondo le ultime analisi del MIUR nel 2024. Non è raro infatti che i potenziali insegnanti, nonostante una buona formazione, meriti e titoli, rinuncino al posto per motivi economici, rompendo la continuità didattica che vorremmo trovare a scuola da settembre a giugno. 

A riconoscere e denunciare questo problema è il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani (CNDDU). Attirando l’attenzione delle istituzioni, vengono avanzate delle proposte: un adeguamento delle retribuzione dei docenti al costo della vita, seguendo l’indice di inflazione annuo (aspetto che, tra l’altro, dovrebbe essere tenuto in considerazione per ogni lavoro); l’introduzione di un aiuto economico permanente per i docenti fuori sede sulla base della città di destinazione; la formazione di un piano nazionale che segua il principio di territorialità, riducendo il pendolarismo forzato; il riconoscimento del disagio economico come fattore di rischio educativo, e la sua inclusione nei parametri di valutazione delle politiche scolastiche. 

[a.c.]

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